La connettomica può cambiare la psichiatria

 

 

GIOVANNA REZZONI

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XVI – 27 aprile 2019.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE]

 

Dagli albori della nosografia kraepeliniana fino ai nostri giorni, la clinica psichiatrica si è basata sull’assunto che ad un quadro caratterizzato e definito secondo le manifestazioni sintomatologiche corrispondesse una specifica entità patologica e, dunque, che l’insieme delle manifestazioni ordinate e interpretate nella diagnosi identificassero una tipologia di processi cerebrali. La possibilità di ridurre il livello psichico e psicologico individuale a paradigmi neurofisiologici e neuropatologici, dal livello molecolare a quello dei sistemi di neuroni, è stata nel tempo oggetto di dibattito e di divisioni inconciliabili, come quella novecentesca tra organicisti e psicologisti, che implicava una differente concezione eziopatogenetica delle malattie della mente. Tuttavia, la cultura psichiatrica ha avuto una base condivisa nella convinzione che l’identità clinica dei disturbi, indipendentemente dalle teorie sulla loro origine, costituisse una base paradigmatica certa per lo studio e il trattamento appropriato.

Ad esempio, due diagnosi della psichiatria classica, quali “schizofrenia catatonica” e “fase di eccitazione maniacale in una psicosi maniaco-depressiva”, non soltanto prevedevano scelte terapeutiche e stime prognostiche del tutto diverse, ma rappresentavano due tropi concettuali differenti, sia in termini tecnici sia per ciò che concerne la dimensione della comprensione umana dello stato mentale del paziente. Oggi i tipi della schizofrenia, quali simplex, ebefrenica, paranoide e catatonica, sono scomparsi dalle categorie nosografiche di impiego clinico, così come la definizione di psicosi maniaco-depressiva è stata sostituita da quella di disturbo bipolare, ma rimane l’evidenza di poli di funzionamento mentale del tutto diversi, ai quali si è attribuita differente e specifica patogenesi, oltre che fisiopatologia.

La dimensione descrittiva che caratterizzava due approcci tanto diversi quanto dominanti nella psichiatria europea, ossia quello psicodinamico e quello fenomenologico, forniva elementi numerosi e specifici allo psichiatra per entrare nella realtà mentale del paziente e provare a comprenderne il vissuto. Si allontanava, allora, dalla consapevolezza clinica agita nella prassi quotidiana, la possibilità che mondi tanto diversi quanto bene caratterizzati potessero avere un’eziopatogenesi comune.

Voce fuori dal coro, il nostro presidente, fin dagli inizi della sua pratica psichiatrica, ha espresso dubbi circa la definizione dell’identità neuropatologica dei disturbi psichiatrici dal quadro clinico. Prendendo le mosse da due dati di osservazione comuni nella pratica psichiatrica, ossia che cause tanto diverse quali lesioni tossiche, disidratazione, neurodegenerazione, meningoencefaliti infettive ed encefalopatie da altre cause potessero dare quadri acuti di psicosi delirante simili a quelli della schizofrenia, e che nella patologia organica del cervello la stessa malattia potesse determinare disturbi mentali appartenenti a categorie nosografiche diverse, talvolta anche nello stesso paziente, Giuseppe Perrella ha sostenuto la necessità di indagare approfonditamente i rapporti fra i livelli neurobiologici di base e l’organizzazione neurofisiologica delle reti dalle quali dipendono direttamente le facoltà psichiche. In particolare, spiegava questa apparente incongruenza tra categorie nosografiche e realtà clinica sulla base dell’esistenza di schemi fissi di “guasto” dovuti alla perdita di integrità o di efficacia neurotrasmissiva, per cause diverse e a livelli diversi, all’interno di un’architettura funzionale che ha precisi vincoli qualitativi e quantitativi per assicurare l’integrazione necessaria alla fisiologia psichica. In altri termini, la mancata soddisfazione delle condizioni necessarie e sufficienti ad assicurare la sintesi funzionale normale, per cause varie che possono agire a livelli diversi delle unità neurofunzionali cerebrali, si può tradurre nello stesso difetto di integrazione, producendo gli stessi sintomi, come nel caso di deliri ed allucinazioni.

Anche nei più convinti sostenitori dell’utilità di una nosografia come quella del DSM-5, negli anni recenti sono sorti dei dubbi circa la reale corrispondenza fra basi neuropatologiche dei disturbi mentali e fenomenica psicopatologica, soprattutto per l’enorme mole di dati genetici, neurochimici e di morfologia funzionale che presentano una realtà complessa e non sempre facile da interpretare secondo i paradigmi attuali. Negli ultimi decenni, da quando la metodica di neuroimmagine della risonanza magnetica funzionale (MRI, da magnetic resonance imaging) è stata applicata con profitto allo studio della fisiopatologia cerebrale in psicopatologia, si è fatta strada l’idea che è possibile un nuovo approccio clinico ai disturbi mentali, anche se si è tutti consapevoli che sarà necessario un lungo iter e un profondo cambiamento culturale per giungere alla formulazione di un nuovo paradigma.

Al centro degli studi diretti sul cervello umano in funzione c’è l’analisi del complesso delle connessioni funzionali macroscopiche dalle quali si ritiene dipenda tutto lo psichismo: il connettoma. La connettomica – termine introdotto dal fisico Sebastian Seung che lavora nel campo delle neuroscienze all’Università di Princeton – indaga da tempo i profili di alterazione delle connessioni cerebrali associate alla psicopatologia, e questa branca della ricerca è seguita con attenzione dalla nostra società scientifica: Baker e colleghi, analizzando i connettomi funzionali di un vasto campione, includente 402 pazienti affetti da psicosi e disturbi affettivi non psicotici, hanno acquisito dati e dedotto concetti di estremo interesse.

 (Baker J. T., et al. Functional connectomics of affective and psychotic pathology. Proceedings of the National Academy of Sciences USA – Epub ahead of print doi: 10.1073/pnas.1820780116, 2019).

La provenienza degli autori è la seguente: Schizophrenia and Bipolar Disorder Program, McLean Hospital, Belmont, MA (USA); Department of Psychiatry, Harvard Medical School, Boston, MA (USA); Center for Depression, Anxiety and Stress Research, McLean Hospital, Belmont, MA (USA); Department of Psychology, Yale University, New Haven, CT (USA); Department of Psychiatry, Massachusetts General Hospital, Boston, MA (USA); Athinoula A. Martinos Center for Biomedical Imaging, Massachusetts General Hospital, Charlestown, MA (USA); Department of Psychiatry, Beth Israel Deaconess Medical Center, Boston, MA (USA).

Evidenze, ormai numerose e convergenti, indicano che gruppi di pazienti appartenenti per diagnosi a classi nosografiche psichiatriche ben distinte ed anche lontane fra loro per profilo clinico, non sono separati da netti o discontinui confini neurobiologici. Tale realtà suggerisce un confronto con quanto si rileva nella popolazione non affetta da disturbi psichici evidenti o diagnosticati.

Nelle persone cosiddette sane, le differenze individuali nel comportamento sono rispecchiate dalla variabilità nel complesso delle connessioni funzionali cerebrali principali, ossia il connettoma funzionale. Questa corrispondenza suggerisce che gli spettri dei profili sintomatologici trans-diagnostici osservati nei pazienti psichiatrici, possano essere mappati all’interno dei pattern rilevabili della fisiologia delle reti. Baker e colleghi, per scoprire il modo attraverso cui le variazioni neurobiologiche possono corrispondere alla presentazione clinica, hanno raccolto ed esaminato immagini di risonanza magnetica funzionale (fMRI, da functional magnetic resonance imaging) dell’encefalo da oltre 1000 individui. Il campione può essere così schematizzato:

-          210 diagnosticati di un disturbo psicotico primario o di una psicosi affettiva come, ad esempio: schizofrenia, disturbo schizoaffettivo o disturbo bipolare di tipo psicotico;

-          192 affetti da un disturbo affettivo primario e privi di sintomi diacritici di psicosi (senza, ad esempio, deliri e allucinazioni), come nel caso della depressione unipolare o del disturbo bipolare senza manifestazioni psicotiche;

-          608 partecipanti, corrispondenti per età e sesso ai volontari affetti da disturbi psichiatrici, in apparenti condizioni di buona salute psichica, reclutati grazie ad uno studio su vasta scala di neuroimmagine cerebrale e genetica.

I ricercatori hanno esaminato le variazioni nei connettomi funzionali in rapporto alle diagnosi psichiatriche, trovando sorprendenti evidenze di fingerprint connettomici di patologia che, nel paragone tra forme nosografiche distinte, sono compromessi e appaiono secondo una scala che sembra essere funzione della gravità del disturbo mentale. La presenza di psicopatologia affettiva e psicotica era caratterizza da vari gradi di alterazione della connettività nella rete frontoparietale, in particolare nella corteccia prefrontale dorsolaterale, nella corteccia prefrontale dorsomediale, nella corteccia parietale laterale e nella corteccia temporale posteriore.

Un altro risultato importante attiene alle particolarità esclusive dei pazienti psicotici. È emerso, infatti, che alcune proprietà della connettività delle reti, e in particolare l’integrità della rete di default, erano compromesse o perdute in tutte quelle persone che presentavano sintomi psicotici, ma non erano alterate in coloro che erano affetti da disturbi psichici non psicotici e, in questo senso, meno gravi.

In conclusione, si può affermare che quanto emerso dallo studio di Baker e colleghi consente di stabilire elementi chiave, sia biologici che clinici, per la caratterizzazione delle malattie mentali più gravi in termini di connettoma funzionale.

 

L’autrice della nota ringrazia la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e invita alla lettura delle numerose recensioni di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).

 

Giovanna Rezzoni

BM&L-27 aprile 2019

www.brainmindlife.org

 

 

 

 

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